14 Settembre 2023 / 15 Ottobre 2023
Il lavoro di Hubertus von Hohenlohe (Città del Messico, 1959) ci offre una visione straordinariamente precisa della società contemporanea. Non solo perché il suo terreno d’azione abituale sono le metropoli del XXI secolo, ma perché le sue immagini rivelano una complessa sovrapposizione di strati che fondono realtà e finzione, spazio pubblico e intimità, boria e distinzione. Se ci fermiamo a esaminare le sue foto, diventa subito chiaro che il suo lavoro ha una qualità premonitrice in quanto anticipa alcuni sintomi che definiscono il nostro mondo, in particolare dopo il definitivo insediarsi della digitalizzazione e di Internet.
I suoi inconfondibili autoritratti fissano lo standard per il narcisismo che ha inondato in breve tempo i social media; il suo stile ha anticipato l’ascesa del selfie con lo smartphone, una fotografia come esperienza “situata” che si è diffusa a velocità vertiginosa grazie all’onnipresente immediatezza consentita dalla globalizzazione e dalle app come Instagram. Andando in giro per la città munito di fotocamera, l’autore agisce come un soggetto anonimo che cerca e al tempo stesso trova se stesso. Grazie alla sua capacità di stabilire un contatto istantaneo con le persone che fotografa e i luoghi che visita, infonde nel suo lavoro una vibrante intensità che incanala l’energia della strada, incrociando l’esperienza vissuta con la rappresentazione.
Le sue fotografie esprimono ambivalenza e contraddizione, come paesaggi urbani in cui l’austerità statica dell’architettura coesiste con la velocità e la fretta. Il ritmo pulsante delle sue immagini sospende il tempo per sovrapporre strati diversi, come se stesse dissotterrando un campione archeologico del presente. Non c’è linearità, non ci sono capitoli a costruire una trama; ogni lavoro funge da esempio ideale. L’atteggiamento dell’artista è quello di un flâneur sempre allerta, sempre in attesa della prossima silhouette come alcuni fotografi del Novecento, in particolare Vivian Maier e Lee Friedlander, per certi versi i precursori dell’auto – ritratto di strada e della messa in scena prediletta da Von Hohenlohe: quella dell’Io nella vetrina di un negozio.
Nel suo duplice ruolo di modello e fotografo, l’artista capovolge le dinamiche abituali che caratterizzano il ritratto. Le sue foto alludono direttamente a noi, alterando la superficie urbana con il mercurio per trasformarla in uno specchio da cui estrarre un’eco.
Analizzati da questa prospettiva, i ritratti di Hubertus non sono semplici immagini tese (solo) a catturare l’intesa tra due persone, in genere estranee, che sfocia in una spontanea comunione senza tempo. Si spingono oltre. Sostengono una maniera specifica di espressione, ormai cristallizzata, in cui la firma dell’autore è subito riconoscibile, perché è riuscito a soggettivizzare l’impulso visivo unendo visione e sguardo. Se il ritratto è un genere che si è scostato solo di poco dalla sua genealogia e che poco si presta all’innovazione fotografica, Von Hohenlohe è riuscito a stabilire una forma nuova, capace di trascendere la consueta correlazione di proiezioni e influenze che si produce nella rappresentazione pittorica.
Chiostro del Bramante – Arco della pace 5, Roma
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